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Pomodoro da industria, la situazione resta conflittuale


Sempre più conflittuale la situazione nel comparto del pomodoro da industria. Al nord la spaccatura si è realizzata all’interno della componente industriale, con il passaggio di due stabilimenti ad una diversa rappresentanza. Proprio queste due industrie, anticipando tutte le altre, hanno chiuso la trattativa siglando contratti con un prezzo indicativo mediamente inferiore a quello dello scorso anno, con una griglia qualitativa peggiorativa, che porterebbe a perdere ulteriori valore e definendo delle modalità di pagamento più lunghe rispetto al passato. Una vera e propria ciliegina sulla torta in un momento in cui, attraverso il decreto liberalizzazioni, si cerca di rendere più veloci i pagamenti.

Queste condizioni contrattuali potrebbero addirittura peggiorare, visto che sull’altro tavolo, quello a cui partecipano le altre industrie del nord, non è che finora le cose siano state discusse su basi migliori e anche i due dogmi che erano stati individuati come punti fissi, ovvero le tempistiche limite per la stipula dei contratti (il 15 marzo) e i tempi di pagamento, non verrebbero rispettati.

Rimane il fatto che, con 80 euro alla tonnellata (tali sono, dopo l’applicazione delle nuove griglie) e una resa media di 70 tonnellate all’ettaro, non si coprono tutte le voci di un costo di produzione il quale, complice l’andamento dei prodotti energetici e dei fattori di produzione collegati, continua a lievitare. Al sud la situazione è allo stallo. I ritardi nei pagamenti del pomodoro consegnato nel 2011 stanno bloccando la trattativa. Si parla di 25-30 milioni di euro ancora da corrispondere da parte dell’industria, circa un dieci per cento del totale. Troppo pochi, secondo alcuni, per bloccare tutta la trattativa, troppi, per altri, per sedersi a discutere dei nuovi contratti.

In alcuni casi potrà essere la crisi economica, la stretta creditizia operata dal sistema bancario, ma, in molti altri pare che il vizio sia quello antico, già riscontrato quando la crisi ancora non si era manifestata, di coloro che hanno la brutta abitudine di utilizzare la parte agricola come banca. In queste situazioni è ancora più valido il ragionamento di ridurre gli investimenti, lasciando tali soggetti senza pomodoro. Peraltro un ruolo più marcato lo potrebbero giocare anche le regioni, vigilando sul rispetto dei pagamenti da parte di soggetti che poi aspirano ad avere agevolazioni sulle tariffe energetiche, ad avere accesso alle misure dei Psr, ecc.

In sostanza la situazione, al nord come al sud, pare particolarmente complicata. In ogni caso, vale per il nord quanto per il sud, la parte agricola deve avere la capacità di tagliare gli investimenti, ovvero le superfici investite a pomodoro, prima, per evitare che poi siano gli altri, la parte industriale, a decurtare ulteriormente prezzi e quantità.

Una riflessione finale sugli accordi interprofessionali e sulle interprofessioni, vere o presunte tali, è d’obbligo. E’ evidente che il problema non è a livello nazionale o a livello locale, ma piuttosto è un nodo connesso alla volontà delle parti. Si ricorda che questi sono tutti accordi, se anche si raggiungono, di carattere volontaristico, non riconducibili a meccanismi di tipo “erga omnes”.

Come tali, essendo volontaristici, hanno come presupposto che tutte le parti in causa, nessuna esclusa, siano d’accordo su una certa decisione. Basta un soggetto, agricolo, industriale o commerciale che sia, Gdo compresa, che non condivide l’obiettivo, per far fallire i più buoni propositi e i più alti obiettivi di tutti gli altri. Questo vale nel settore del fresco come del prodotto trasformato, a livello territoriale come a livello nazionale e, nonostante ci sia sempre qualcuno che idealizza quanto avviene fuori dal Bel Paese, anche all’estero. Fonte: Coldiretti




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